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martedì 24 novembre 2009

Turchia - Savoia Marchetti SM-79 SPARVIERO

SM-79 è stato uno dei più popolari bombardieri della Regia Aeronautica durante la WW2.  Basati in Grecia la loro missione era quella di fare delle incursione sul Mar Rosso e nel lato orientale del Mediterraneo. Questo esemplare probabilmente è stato abbattuto nel 41 anche se ci sono pareri discordanti tra gli appassionati e gli studiosi, tutte le ipotesi comunque sono tutt'ora al vaglio. E' stato ritrovato a largo della città di Kas, meta turistica e paradiso dei Sub, sono presenti fondali bellissimi, l' SM si trova a 61m di profondità, il relitto nel complesso è in buono stato i motori sono abbastanza distinguibili uno è leggermente spostato in avanti separato dal resto della fusoliera, probabilmente un danno dovuto all'impatto. Le parti in legno non esistono più dopo 60 anni in fondo all'acqua salata era inevitabile ma la sagoma del SM si evince dalle parti metalliche della carlinga che ormai è diventata la casa di flora e fauna sottomarina locale. I piani di coda sono in buono stato le insegne di reparto ci sono ma sono incomprensibili e le armi di bordo sono state completamente colonizzate da banchi corallini bellissimi, non ho avuto il coraggio di toglierne qualcuno. In buona sostanza devo dire che è una bella esperienza ma ormai il tempo è scaduto e devo risalire, do un ultimo sguardo al bestione e piano piano lo vedo scomparire sul blu, sono sicuro di una cosa ci ritornerò.
www.kas-diving.com


B-24 Baia di Agay, Costa Azzurra



La foto appartiene ai  resti del B-24 la matricola perfettamente leggibile N° 42-78.213 è caduto nella baia di Agay, Costa Azzurra, dopo essere stato abbattuto dalla contaerea tedesca il 27 maggio 1944. I pescatori della zona ci hanno detto che a quanto pare uno soltanto dell'equipaggio è riuscito a salvarsi, almeno così raccontavano gli anziani, naturalmente tutto è ancora al vaglio delle autorità che sono state informate. L'aereo apparteneva alla 15a USAAF, BG 454, 736 BS. il loro obbiettivo era Montpellier e l'aeroporto nelle vicinanze. Ufficialmente risulta che dei 10 uomini a bordo: 2 morti certi inquanto i cadaveri sono stati recuperati, 4 dispersi e 4 periti in combattimento, probabilmente l'aereo prese anche fuoco prima di schiantarsi. La foto è stata fatta solo qualche tempo dopo la scoperta che risale all'Agosto del 2008 Il subacqueo è Philippe Castellano.
Se qualcuno ha informazioni fotografie che ritraggono l'equipaggio tra i collezionisti o gli appassionati fatecelo sapere così possiamo passare le informazioni allo Smithsonian Istitution (VAI AL SITO) ed organizzare il recupero, intanto la Sea Tech continua le immersioni nel sito allestendo delle manifestazioni subacquee in modo che questi sventurati aviatori non vengano dimenticati.



B-24 restaurato della II guerra mondiale, a sua volta questo è un esemplare ritrovato in Inghilterra nell'89

martedì 10 novembre 2009

venerdì 6 novembre 2009

Trapani - Il Wellington disperso

di Cristina Freghieri


Il Wickers Wellington fu, assieme agli Armstrong Withworth Whitley, all’Handley Page Hamden ed ai Bristol Blenheim, il bombardiere inglese di primo equipaggiamento dei reparti da bombardamento della Royal Air Force all’inizio della II G.M. Battezzato “Wimpey” come il famoso fumetto di Popeye, dal personale di servizio, il Vichers Wellington bombardiere medio bimotore, progettato a Brooklands in Weybridge, Surrey, dal progettista del Chief del Vichers Amstrongs, R.K. Pierson, su disegno geodetico di Barnes Wallis, specializzato in dirigibili, divenne ampiamente usato nei primi due anni della seconda guerra mondiale. Mentre gli altri aerei, diminuita l’emergenza, furono relegati a ruoli secondari, il Wellington fu costantemente migliorato e potenziato, presso gli stabilimenti della Vickers, fino al 1945 (in totale ne furono costruite sedici varianti in 11.461 esemplari, di cui solo 401 di MkII Motori Rolls Royce X).Il progetto fu iniziato nel 1932 ed il prototipo (K4049), volò per la prima volta il 15 giugno 1936, da Brooklands, con il numero 271. Il sistema costruttivo era molto particolare ed era composto da una struttura in alluminio (reticolare) di tipo geodetico e ricoperta da un rivestimento in tela.
Eccezionalmente leggero e robusto era capace di notevoli sollecitazioni durante gli attacchi, in grado di incassare colpi e subire danni di notevole entità, continuando a volare.Pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra, nel settembre 1939, furono i primi aerei a sganciare bombe sulla Germania e proseguirono i bombardamenti diurni fino alla fine dell’anno quando, causa le pesantissime perdite, furono costretti ad operare solo di notte: il loro motto divenne “Avening” (uccello delle ombre). Il Bomber Command li utilizzò, come bombardieri, fino alla fine del 1943 (nelle versioni MK II e MK III) destinandoli quindi, con il Coastal Command, alla lotta antinave ed antisommergibili.Gli MK II furono destinati al Mediterraneo: dall’Inghilterra raggiunsero Gibilterra trasferendosi poi a Malta. Una parte restò nell’isola, altri si spostarono in Egitto per operare dal Cairo, contro le forze italo tedesche dislocate in Libia. Sia da Malta che dal Cairo combatterono contro il naviglio dell’Asse. Compito degli aerei maltesi era la ricognizione e, giornalmente gli Wellington sorvolarono le basi di Taranto, Napoli, Tripoli, controllando il Canale di Sicilia.Opera degli Wellington furono i pesanti bombardamenti sulla città di Messina effettuati per impedire il traghettamento delle forze italo tedesche dopo il loro ripiegamento dall’isola, tra il 29 luglio e il 17 agosto 1943, con base Trapani. Attaccarono la città 225 volte di notte sganciando nei primi quindici giorni di agosto un complessivo di 6.542 tonnellate di esplosivo.

La ricerca storica La ricognizione aerea maltese, il 4 gennaio 1942, avvertì che nell'aeroporto di Castelvetrano vi era una grossa concentrazione di velivoli plurimotori nemici, stimati in circa 75 esemplari, tra Ju.52 e S.82., tra cui molti trasportatori e bombardieri. Partirono 11 Blenheims del 18° e del 107° Squadron da Luqa e da Takali alle 15.35. Un aereo rientrò per noie ai motori, gli altri raggiunsero l'obiettivo verso le 17.00 e colsero la difesa nella più completa sorpresa. Solo una batteria mitragliatrice di difesa, aprì il fuoco, e solo uno dei Blenheims, dello Squadron Leader T.A. Jefferson ebbe dei feriti a bordo. Il 18° e il 107° squadron, rientrò a Malta vantando la distruzione di almeno 30 aerei nemici.

Immediatamente partirono tre Wellington del 104° Squadron (tutti quelli disponibili) e due di essi caricarono le famose bombe 'cookie' da 4000 libbre per cercare di sorprendere Castelvetrano nella confusione del dopo attacco. Furono distrutti altri 14 aerei, però, questa volta le batterie di difesa contra-erea erano all'erta ed i mitraglieri vantarono l'abbattimento di uno degli attaccanti. Un Wellington fallì il ritorno con la perdita di tutto l'equipaggio vicino a Castelvetrano: Flt. Sgt. J. F. Lewthwaite (matricola Z9036). Uno dei Junkers del 4/NJG 2 (un caccia notturno) e comandato da Upt Jung, quella sera, vantò l'abbattimento di un aereo bimotore; l'aereo era stato identificato come Blende.Si è pensato che fosse lui l’Wellington caduto. In seguito però è stato identificato come un Mk1C, abbattuto a Castelvetrano il 4/17/1942. Tutto l’equipaggio è seppellito a Catania, quindi caduto su terra. Riprese le ricerche altre perdite di Wellington MkII sono state riportate alla luce.La notte tra il 23 e il 24 febbraio due Wellington del 458° Squadron (australiani) sono precipitati nelle acque limitrofe a Marettimo. Il 19 aprile 1943 un Wellington, 458° Squadron (australiano) fu abbattuto durante la notte mentre sorvolava la zona di Marettimo. Nella notte tra il 6 e il 7 maggio 1943 un Wellington fu abbattuto sopra le acque di Trapani E’ molto probabile che si tratti di uno di questi tre aerei. Durante le immersioni non si è trovato nessun numero di serie del motore che possa ricondurci alla precisa identità. Le ricerche continuano col dubbio che se si trattasse di un Wellington destinato alla lotta antisommergibile, non esiste documentazione.A guerra conclusa i Wellington hanno volato per 346.440 ore di cui la metà nell’Estremo Oriente.Oggi sono visibili due esemplari di Wellington recuperati, l'MF628 T10 (ultima serie costruita nel 1945) al museo dell’aeronautica reale a Londra. Il secondo, serie N 2980 Wellington I A, esposto al museo di Brooklands.


Vickers WellingtonGran Bretagna.
Aereo bimotore da bombardamento.


Costruito: dal 1938 al 1945 dalla Vickers Ltd..
Motori: due Bristol Pegasus XVIII radiali a 9 cilindri da 1.000 hp ciascuno e raffreddati ad aria oppure nel tipo MK.II due motori in linea, a 12 cilindri, Rolls Royce (Merlin X) da 1.145 hp ciascuno.
Dimensioni: apertura alare metri 26,26;
lunghezza metri 19,68; altezza metri 5,31.
Peso al decollo: 12.910 kg.Velocità massima: nelle prime versioni km/h 380; nelle successive oltre km/h 400 (a 4.700 m di quota).
Quota massima operativa: metri 5.500.
Autonomia: 4.100 km.
Armamento: 2 mitragliatrici nella torre di prua; 2 mitragliatrici nella torre di coda; 2 mitragliatrici (una per lato) in fusoliera (tutte da 8 mm); bombe carico massimo kg. 2.040. Possibilità di utilizzare siluri.
Equipaggio: da 5 a 6 persone.





martedì 3 novembre 2009

Atollo di Truk, nel mare della Micronesia (Oceano Pacifico)




Immersione nel relitto del Mitsubishi ZERO fighter

Immaginate di volare sopra il grande Oceano Pacifico. Immaginate di affacciarvi al finestrino e spingere lo sguardo lontano, di lasciarlo correre sul blu della superficie del mare, fino a scoprire una scintillante cintura di sabbia candida e palme dal verde brillante che imprigiona una laguna dal colore dello smeraldo.Una immagine di paradiso di questo Oceano che nel corso dell'ultima guerra divideva ed al tempo stesso univa due tra le maggiori potenze militari impegnate nell'orrendo conflitto.La grande America e l'agguerrito Giappone si affacciavano da sponde opposte sull'Oceano Pacifico, ed entrambi attraverso l'oceano lanciavano le flotte da guerra, gli uni volgendo le prue verso il sole del tramonto, gli altri verso quello dell'alba.Miglia e miglia di acqua salata dividevano le due superpotenze, ma al tempo stesso rappresentavano una via grande e sicura per portarsi reciprocamente offesa.Splendidi atolli corallini divennero perciò importanti teste di ponte, munite basi militari in cui si ammassavano uomini e mezzi, munizioni ed armi, medicinali e vestiario, destinati alle truppe o alle navi da combattimento che incrociavano al largo, alla ricerca del nemico.E' per questo che uno di quegli atolli che ora osserviamo dal finestrino dell'aereo, un giorno doveva avere l'aspetto dell'inferno, avvolto da fuoco e fiamme, devastato dagli orrori di una battaglia senza quartiere.Siamo nell'atollo di Truk, nel mare della Micronesia, una cintura di corallo che racchiude una decina di isole coperte da una giungla fittissima e le acque tranquille e poco profonde di una laguna interna.Le oltre cento miglia della circonferenza dell'atollo offrivano un formidabile riparo alla flotta mercantile giapponese di appoggio alle operazioni militari.Decine di navi alla fonda, cariche all'inverosimile attendevano di smistare il loro cargo, protette dai coralli dell'atollo dalla furia delle onde e dai cannoni da eventuali incursioni aeree americane.In quei giorni Truk sembrava davvero inespugnabile: solo quattro pass aperte nella barriera consentivano l'accesso a quelle acque tranquille.Pass guardate da lontano da potenti cannoni a lunga gittata in grado di distruggere qualsiasi nave nemica avesse tentato di forzare l'ingresso attraverso uno di quei passaggi obbligati.Intanto cento batterie contraeree controllavano i cieli, mentre un ingente numero di caccia era pronto al decollo per intercettare un'eventuale attacco di bombardieri nemici.Eppure proprio su questo obiettivo apparentemente inespugnabile si concentrò l'attenzione dell'"Intelligence" americana.E la notte del 17 Febbraio 1944 il paradisiaco atollo si trasformò in un vero e proprio inferno.Una violentissima incursione di caccia Hellcat si scagliò contro gli aerei pronti al decollo e contro le postazioni antiaeree, seguita da un immane attacco di bombardieri che con tonnellate e tonnellate di bombe cancellarono l'atollo di Truk dallo scacchiere bellico del Pacifico.Le difese furono annientate e fu colato a picco tutto il naviglio della grande flotta mercantile con il suo prezioso carico.Le navi, ancora alla fonda, colarono a picco sul posto, nella medesima posizione in cui si trovavano.Costrette dalle pesanti catene delle ancore, inchiodate in quel punto preciso da una micidiale grandine di bombe, siluri e proiettili.1300 tonnellate di bombe furono lanciate nell'attacco.416 aerei giapponesi e 60 navi furono perduti, 423 costruzioni ridotte in macerie.Il 15 Agosto del 1945 la base giapponese di Truk capitolò, e da allora venne dichiarata "off limits".Per 25 anni l'atollo di Truk venne dunque dimenticato dal mondo.Per tutto quel tempo le navi dell'antica flotta giapponese riposarono sul fondo, mentre la vegetazione tropicale sferrava l'ultimo attacco alle fortificazioni giapponesi inglobandole completamente e cancellandone quasi ogni traccia.Intanto, sul fondo della laguna, erano i minuscoli polipi di corallo che aggredivano le lamiere dei bastimenti che offrivano loro un substrato rigido e lontano dal fango del fondo da colonizzare. Per venticinque anni, dunque, Le acque dell'oceano conservavano i navigli affondati nelle medesime condizioni in cui si trovavano nei tragici giorni dell'affondamento. E quello stesso scenario si presenta oggi di fronte ai nostri occhi.Le navi adagiate sul fondo, con la catena dell'ancora che esce dall'occhio di cubia e si perde lontano, sulla sabbia, oltre i limiti della visibilità.Le stive ricolme di merci, di carichi accuratamente sistemati, oggi nelle stesse posizioni in cui furono disposti oramai più di 50 anni fa. Suppellettili sono sparse ovunque sul fondale, sulle strutture dei ponti devastati dalle bombe.Tutto è come quel giorno di oltre cinquant'anni fa, tutto come alla fine di quella tragedia, quando la nave lentamente lasciava la superficie. Mentre l'atmosfera era sconvolta dalle fiamme degli incendi, dal fragore delle esplosioni, dalle urla degli uomini impazziti dal terrore e la nave si inabissava, appoggiandosi dolcemente sul sedimento del fondo, in un mondo improvvisamente di silenzio e di quiete. Tutto è come allora, è vero, ma con una differenza: qui sembra che la natura si sia impegnata ad adornare questo che può essere a ragione considerato un vero e proprio sacrario, un monumento in ricordo di tutti quegli uomini che in quei giorni di guerra persero la vita. Oggi possiamo visitare queste antiche navi affondate. Non serve essere subacquei espertissimi.E' sufficiente aver conseguito un qualsiasi brevetto di sub per lanciarsi nella coinvolgente avventura dell'esplorazione di questi antichi relitti.Le profondità sono sempre piuttosto limitate. Le acque della laguna ci proteggono dalle onde e non sono interessate da intense correnti.La visibilità è di solito ottima e la temperatura piacevolmente elevata. E' inutile negare che lo spettacolo offerto da una nave affondata è comunque uno spettacolo triste, talvolta angosciante.E questa fu la prima sensazione che provammo mentre pinneggiavamo verso l'alto picco di carico della Fujikawa Maru.Il suo profilo ci è apparso attraverso l'acqua carica di plancton.Tetro, lontano, grondante di alcionari che si lasciavano penzolare, aggrappati alle strutture.Ma fu sufficiente avvicinarci un pochino, illuminare da vicino le lamiere con un potente faro subacqueo, per lasciarsi andare alla meraviglia più totale, all'incredibile spettacolo offerto dai brillanti colori delle creature marine.Sfumature di giallo, di rosso, di porpora, che si sommavano le une alle altre, che dipingevano mirabilmente uno scenario altrimenti cupo e monocromatico. Rapidamente ci abituammo a questa strana contraddizione, a questi colori di gioia che convivono con queste testimonianze drammatiche.Costruzioni di corallo modificano le strutture metalliche, ne divengono parte, ne stravolgono le forme. Ci siamo trovati a pinneggiare sui ponti delle grandi navi.Ingombri di lamiere contorte, di argani, di cavi d'acciaio. E ancora i vividi colori delle spugne, dei coralli, degli alcionari che avvolgevano le battaiole, le bitte, i picchi di carico.Affascinati da questo incredibile ed insolito ambiente, ci siamo trovati a nuotare lungo i corridoi, ad affacciarci all'interno delle navi attraverso gli oblò.Un giorno esplorando una nave siamo giunti all'altezza della plancia di comando.I vetri delle grandi finestre non erano più al loro posto e così ci siamo potuti agevolmente spingere all'interno. Di fronte a noi abbiamo trovato il telegrafo di macchina: testimonianza di un antico modo di andare per mare.A quel tempo azionando la leva del telegrafo si trasmetteva alla sala macchine l'ordine di rallentare i motori, di accelerarli, di fare macchina indietro. Oggi, sulle navi moderne, l'ufficiale al comando può agire direttamente sui potenti motori mediante comandi riportati in plancia. Dal ponte di comando ci siamo lasciati andare verso il basso.Con attenzione siamo scivolati sempre più in profondità attraverso stretti passaggi, nuotando a testa in basso attraverso le anguste scale d'accesso.Durante il percorso la luce della torcia ha scoperto resti di ceramica, piatti interi, una grande lanterna per terra, in un alloggio.Continuammo a spingerci sempre più in profondità verso l'interno del relitto, a scendere decisi sempre più verso l'oscurità, attraversando cabine e corridoi.Fino a quando non fummo attratti da una luminosità lontana.Istintivamente ci siamo avviati in quella direzione, ritrovandoci ben presto all'interno di una enorme stiva.La luce filtrava dall'alto scomponendosi in fasci di raggi azzurrognoli.Ci muovevamo cautamente, attenti a non sollevare con le pinne o con un movimento maldestro la coltre di sottilissimo limo che ricopriva ogni cosa e che avrebbe in un attimo azzerato la visibilità.Ad un tratto un bagliore attirò la nostra attenzione: una grande quantità di bottiglie si trovavano ammassate in un angolo.Bottiglie di vetro marrone, ancora al loro posto nelle casse nelle quali erano state stivate, impilate le une sulle altre.Più la altre bottiglie, più piccole.Di certo bottiglie di medicinali, come confermato più tardi dalla scoperta di casse colme di bendaggi.Attraversammo una paratia e la natura del carico cambiò completamente.Ecco qui casse e casse di munizioni, di proiettili di ogni tipo.Un carico enorme che ci da un'idea dello sforzo che il Giappone stava mettendo nella guerra.Poco lontano scopriamo la fusoliera di un caccia Zero, con le ali smontate e appoggiate in terra a breve distanza.Ci affacciamo all'interno della cabina del pilota, osserviamo il sedile, gli strumenti di bordo, ancora tutti al loro posto.Ma ancora un raggio di luce ci attirava verso un punto isolato nell'oscurità.Superammo un paio di corridoi per arrivare ad affacciarci da alcune grandi aperture nella fiancata.Fu come affacciarsi su di uno splendido giardino da una finestra incorniciata da grappoli da alcionari colorati.Il rassicurante azzurro tenue del mare dei tropici ci attirava irresistibilmente.E così passammo attraverso la finestra e uscimmo dalla nave, per sorvolarne il relitto, ormai divenuto un vero e proprio reef corallino e, lentamente avviarci verso la superficie.Gli oggetti più bizzarri da cercare sui relittiSe un giorno avrete la ventura di trovarvi a fare immersione sui relitti della laguna di Truk, non dimenticate di aguzzare la vista, alla ricerca di quello che può essere il reperto più bizzarro.Nulla è stato toccato dopo i naufragi, tutto è ancora al proprio posto.Un po' ovunque troverete maschere antigas, munizioni in gran copia, automezzi.Ma non stupitevi di trovare tazze e piatti, bicchieri, utensili da cucina.Noi ci siamo spinti nella sala macchine e abbiamo trovato un'officina.Attaccati al muro, ancora al proprio posto, c'erano martelli, cacciaviti, chiavi inglesi.E poco lontano un tornio ed un trapano a colonna.Ci siamo stupiti di trovare un manometro con scritte i Italiano: Fratelli Martelli, era scritto sul quadrante dello strumento.Ma quello che ci ha sorpreso di più è stata la scoperta di una pila di vecchi dischi a 75 giri e di un buon numero di spartiti musicali.Datevi da fare, allora, alla ricerca del reperto più curioso, ma non dimenticate: i fondali della laguna di Truk sono considerati un vero e proprioMuseo.Guardare e non toccare assolutamente nulla, è dunque la regola principale.

lunedì 2 novembre 2009

Rodi (Gecia) - Ritrovamento & recupero 3/6 ottobre 2009

Ritrovato relitto di uno "Stukas" tedesco

Un team di sommozzatori della Hellenic Air Force ha recuperato al largo di Capo Prassonissi, il relitto di un velivolo tedesco Ju 87, quest’aereo noto popolarmente come Stuka è entrato nell’immaginario collettivo come simbolo della guerra scatenata dal nazismo. Il velivolo recuperato, sigla militare S7 + GM, apparteneva alla squadriglia II/St.G di stanza nell’ex aeroporto italiano di Maritsa. L’equipaggio composto dal Lt. Rolf Metzger e Uffz. Hans Sopnemann però non sopravvisse all'impatto.
Due anni fa un peschereccio rodiota incappò nel relitto trascinandolo sino ai fondali sabbiosi di fronte al piccolo porticciolo nei pressi di Prassonissi a circa 15 metri di profondità. Il subacqueo Iaonnis Glynatsis si immerse nel fondale dove era stato lasciato dal peschereccio e documentò con riprese video che si trattava di un aereo tedesco che fu facilmente identificato come uno Stuka per le sue caratteristiche ali a gabbiano, il relitto giaceva capovolto con la coda e parte delle ali asportata, nel complesso era in buono stato di conservazione. Informate le autorità greche si decise per il recupero da parte dello stesso team subacqueo che aveva operato due anni prima a Lero su un velivolo trimotore JU 52 nella baia di Alinda. Questa volta il lavoro è stato più semplice perchè si trattava di un relitto di circa 3 tonnellate che è stato imbragato e sollevato tramite palloni subacquei. Il relitto è stato quindi trasportato all’aeroporto di Maritsa da cui ne era partito 63 anni fa, per i primi restauri. Sarà poi trasferito ad Atene per essere esposto nel Museo Aeronautico.

domenica 1 novembre 2009

Menton, Francia (Costa Azzurra)

Ritrovamento di un bombardiere Heinkell He 111




Menton o Mentone

Mentone è un comune francese di quasi 3000 abitanti situato nel dipartimento delle Alpi marittime nella regione Provenza - Alpi - Costa Azurra, alla frontiera con l'Italia (oltre il confine si trova Ventimiglia), sula Mar Mediterraneo. La città è stata fondata da un Signore ligure tanto che i Mentonesi parlano un dialetto che è un miscuglio tra il nizzardo e il ligure. Il mare che la bagna è ricco di bellezze , meta obbligata per tutti gli appassionati di subacquea.

Il ritrovamento

Con un’apertura alare di 22,6 metri e una lunghezza di 16,2, l’Heinkel si presenta adagiato sul fondale sabbioso in posizione capovolta. La zona e’ caratterizzata da acqua torbida e solo quando siamo in prossimità del velivolo scorgiamo il relitto.

Enormi i due motori che, persa gran parte della carenatura, lasciano intravedere la parte superiore della testata con i cilindri e i tubi di scappamento. Su di essi sporgono le ruote dei carrelli alari che, pur essendo in posizione retratta, rimangono leggermente sporgenti. I flap appaiono in posizione di massima inclinazione a conferma di un ammaraggio di emergenza. Sulla fusoliera tracce di rete del peschereccio che involontariamente ha consentito il ritrovamento del relitto.


Il grosso cannoncino anteriore punta ora verso l’alto. Pur incrostati da abbondante vita bentonica, i fori laterali di raffreddamento presenti sulla canna sono ancora ben visibili. Da qui si può ispezionare la cabina anteriore illuminando dall’esterno l’abitacolo in cui sono visibili leve e comandi per governare l’aereo e le bombole dell’ossigeno usate durante il volo ad alta quota.

I portelli di sgancio delle bombe sono aperti e si notano le rastrelliere che sostenevano i pesanti ordigni da 250 kg. Non sono invece visibili le mitragliatrici da 7,92 mm, probabilmente insabbiate e le due laterali, probabilmente perse durante l’impatto con la superficie marina.




Storia
La storia dell’ Heinkel 111 di Mentone e’ fatta di luci ed ombre. Esistono 2 versioni, una secondo cui l’aereo, coinvolto in un combattimento, venne ripetutamente colpito perdendo quota e ammarando tra Mentone e Montecarlo, a poche centinaia di metri dalla riva, dove i sopravvissuti trovarono riparo. La seconda versione narra che, al termine di un bombardamento su Tunisi, l’aereo, mentre stava facendo ritorno alla base, per un guasto, avrebbe perso gran parte del carburante dovendo ammarare e affondando al largo della costa Francese.
E li rimase fino al 1965 quando un famoso sub locale, Claude Verge’, venne ingaggiato dai proprietari del peschereccio transalpino ‘’ Notre Dame de Laghet’’ , per recuperare una rete inspiegabilmente rimasta impigliata sul fondo. Verge’ si trovo’ di fronte il bombardiere, al cui interno erano presenti alcune ossa. Questo particolare sembrerebbe avvallare l’ipotesi del conflitto aereo e del susseguente ammaraggio di fortuna, come dimostrato dai portelli e i vani aperti e vuotati dagli ordigni per minimizzare i rischi dell’impatto con la superficie marina. D'altronde la mancanza delle pale delle eliche potrebbe far presupporre che i motori fossero fermi. Forse l’aereo era stato colpito cosi gravemente o veramente era rimasto senza benzina?
Di fatto, il 31 Luglio 1944, l’Heinkel ammaro’ nel primo pomeriggio e dopo alcuni minuti, sufficienti ai superstiti per mettersi in salvo, affondo’ di muso. Nell’ impatto si era sfondata la vetrata anteriore e l’acqua aveva invaso la prua facendo inabissare il bombardiere in posizione capovolta.